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TECNOLOGIA “PCO”: SCIENZA, PROMESSE …E RISCHI NASCOSTI

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La tecnologia aumenta PCO (Photocatalytic Oxidation) ha suscitato molto interesse come metodo innovativo per la purificazione e la disinfezione dell’aria. Le potenzialità potrebbero essere notevoli, ma la realtà sperimentale e normativa mostra limiti che non possono essere ignorati.

LA TECNOLOGIA
Il principio è semplice: un catalizzatore (spesso biossido di titanio, TiO₂) irradiato con luce ultravioletta genera radicali ossidanti in grado di degradare composti organici volatili (VOC) e inattivare microrganismi.
Questo processo genera particelle molto reattive, chiamate radicali, che riescono a scomporre le sostanze presenti nell’aria. In pratica, composti inquinanti e cattivi odori vengono trasformati in molecole innocue come acqua e anidride carbonica. Quando l’aria attraversa il modulo, si attiva un processo fotocatalitico che genera radicali ossidrili e piccolissime quantità di perossido di idrogeno (H₂O₂). Queste molecole altamente reattive permettono di sanificare non solo il flusso d’aria, ma anche le superfici interne dei condotti, grazie alla loro efficacia nella decomposizione di batteri, virus e altri agenti patogeni.
In aggiunta, spesso i sistemi sono equipaggiati con un sistema di ionizzazione bipolare (positiva e negativa), che amplifica la riduzione degli odori e risulterebbe efficace anche contro le polveri ultrafini.
 
MA… FUNZIONA DAVVERO COSÌ?
Gli studi indipendenti hanno evidenziato che la tecnologia PCO può produrre sottoprodotti indesiderati, come formaldeide e acetaldeide, soprattutto quando viene utilizzata in condizioni realistiche e con alti flussi d’aria.
Le quantità di perossido di idrogeno generate sono in genere molto basse e, per questo motivo, la reale efficacia di tali concentrazioni nel sanificare grandi volumi d’aria in tempi rapidi risulta spesso inferiore a quanto dichiarato dai produttori.
Anche affermazioni come “efficace contro virus, batteri, muffe, allergeni, VOC e polveri ultrafini” devono essere valutate con cautela: se in laboratorio si registrano riduzioni significative, nei contesti reali i risultati appaiono molto meno consistenti.
Non a caso organizzazioni come ASHRAE ed EPA invitano alla prudenza, sottolineando che non esistono prove conclusive per considerare queste tecnologie equivalenti, o addirittura superiori, alla filtrazione HEPA o alla disinfezione con UV-C correttamente dimensionata.

EFFICACIA TEORICA E RISCHI POTENZIALI
  • Produzione di ozono: sebbene molti produttori dichiarino che i sistemi PCO siano privi di emissioni, diversi test hanno evidenziato la possibilità che vengano generate piccole quantità di ozono. Anche a basse concentrazioni, l’ozono è riconosciuto come sostanza nociva per la salute umana, in grado di irritare le vie respiratorie e peggiorare patologie preesistenti.
  • Formaldeide e sottoprodotti secondari: la degradazione dei VOC tramite PCO può portare alla formazione di sottoprodotti intermedi come la formaldeide, sostanza classificata come cancerogena. In questo modo si rischia di sostituire un inquinante con un altro altrettanto o più pericoloso.
  • Efficacia contestata: diversi studi e analisi di ambienti reali hanno sollevato dubbi sull’efficacia dei sistemi PCO rispetto ai risultati in condizioni di laboratorio controllate. Le affermazioni commerciali spesso troppo ottimistiche hanno portato a contestazioni legali e a posizioni critiche da parte di enti regolatori.
  • Assenza di validazioni indipendenti: molte valutazioni sulle prestazioni dei sistemi PCO si basano su test interni o non standardizzati condotti dai produttori stessi. Questa mancanza di verifiche indipendenti ha alimentato ulteriori perplessità circa la reale sicurezza ed efficacia della tecnologia.

LA POSIZIONE DI ASHRAE


DICHIARAZIONI COMMERCIALI IRREALISTICHE
Un aspetto particolarmente critico è la diffusione di claim di marketing che parlano di disinfezione dell’aria fino a 4000 m³/h. Queste affermazioni non trovano riscontro nelle leggi fisiche né negli studi indipendenti:
  • Potenza insufficiente: le potenze UV impiegate sono così basse che, anche se perfettamente convertite in “radiazione attiva”, non possono garantire l’inattivazione microbica completa su portate così elevate.
  • Tempo di esposizione: a 4000 m³/h il tempo di contatto fra aria, luce e catalizzatore è brevissimo (frazioni di secondo), insufficiente per una reazione efficace.
  • Rischio di false aspettative: tali dichiarazioni inducono gli utenti a credere in una “sanificazione totale” che in realtà non avviene, con il pericolo di ridurre altre misure comprovate (ventilazione, filtrazione, UV-C a dosi adeguate).
La letteratura indipendente sui rischi della PCO converge su alcuni punti chiave: in condizioni vicine a quelle reali (miscele di VOC indoor, umidità e tempi di contatto brevi) i reattori UV-PCO possono generare sottoprodotti tossici: studi di laboratorio condotti su prototipi e su unità commerciali in camere ambientali (es. lavori del Lawrence Berkeley National Laboratory) hanno documentato formazione netta di questi composti quando la reazione ossidativa è incompleta; risultati analoghi compaiono in articoli su Building & Environment che, oltre a prove sperimentali, includono modellazioni su decine di test indicando come portata d’aria, umidità, carico di inquinanti e design del reattore siano determinanti per la chimica secondaria.
 
Un filone più “chimico” (es. Catalysis Today su toluene e altri VOC) ha sottolineato l’esigenza di valutazioni tossicologiche specifiche e di misure in continuo dei sottoprodotti.

A livello di indirizzi tecnico-regolatori, documenti di EPA e CARB avvertono che i dispositivi possono produrre ozono o altri inquinanti secondari e raccomandano verifiche indipendenti di prestazione e sicurezza; le position statements di ASHRAE richiamano la necessità di prove in edifici reali, con misure di sottoprodotti e limiti alle emissioni.

 
Purificatori d'aria residenziali - Sintesi tecnica – EPA Environmental Protection Agency
 
In sintesi, sebbene la PCO mostri in laboratorio la capacità di degradare VOC e inattivare microrganismi, il gap di traduzione al campo — complice la deattivazione del catalizzatore, lo “sporcamento” delle superfici e i tempi di residenza ridotti alle portate tipiche HVAC — fa sì che i benefici dichiarati siano spesso accompagnati da rischi di by-products e da prestazioni meno nette, motivo per cui la bibliografia più rigorosa chiede protocolli di test standardizzati, report completi su sottoprodotti e confronto trasparente con alternative consolidate come filtrazione ad alta efficienza, UV-C dimensionato correttamente, ventilazione.

Referenze
  1. Performance of photocatalytic oxidizing air cleaners in different experimental setups – a review - ScienceDirect
  2. Ultraviolet photocatalytic oxidation technology for indoor volatile organic compound removal: A critical review with particular focus on byproduct formation and modeling - ScienceDirect
  3. Key parameters influencing the performance of photocatalytic oxidation (PCO) air purification under realistic indoor conditions - ScienceDirect
  4. Determination and risk assessment of by-products resulting from photocatalytic oxidation of toluene - ScienceDirect
  5. Photocatalytic oxidation technology for indoor air pollutants elimination: A review - ScienceDirect
  6. Modeling of by-products from photocatalytic oxidation (PCO) indoor air purifiers: A case study of ethanol - ScienceDirect
  7. Performance of ultraviolet photocatalytic oxidation for indoor air applications: Systematic experimental evaluation - ScienceDirect
  8. Evaluation of a Combined Ultraviolet Photocatalytic Oxidation (UVPCO) / Chemisorbent Air Cleaner for Indoor Air Applications lbnl-62202.pdf


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